It's not goodbye to our friendship
cioè quella volta che Eminem sciolse i D12 nel silenzio generale
C'è una canzone di cui vorrei parlare da tre o quattro mesi, più o meno dalle prime settimane di vita di questa newsletter, perché credo sia molto importante benché non abbia ricevuto pressocché nessuna attenzione non solo in Italia ma anche una copertura molto scarsa in America. E se qui da noi, in fondo, chi parla di rap USA lo fa raccogliendo l'eco di quello che arriva dalla stampa mainstream d'oltreoceano (basti vedere come tutti, anche quelli che si credono bravi, hanno trattato il beef di Kendrick con Drake e tutto quello che sta continuando a venir fuori sul canadese), mi stupisce molto che di là sia passata sotto traccia una dichiarazione forse superflua, ma fondamentale, che Eminem fece in Kamikaze, disco magari non da annali ma abbastanza solido nella sua produzione recente. Il brano in questione era Stepping Stone, e rappresenta l'eutanasia per i D12, ma devo chiedervi di fermarvi un attimo, se volete cliccare il tasto quaggiù per iscrivervi a questa newsletter, fare un lungo respiro e tornare indietro nel tempo di vent'anni esatti.
Siamo nel 2004 e questa storia, per me, inizia qui. Inizia con il primo singolo del secondo disco dei D12, che al tempo non sapevo chi fossero, però su DeeJay TV, o RTL, o qualcosa di simile la passarono parlandone come del gruppo di Eminem—sempre per quel discorso di cui sopra, proprio per un singolo che tendeva a rimarcare come i media ne parlassero a sproposito in questo modo. Il brano era My Band, e qui fisso il mio primo contatto certo con la sporca dozzina, ma a colpirmi fu il secondo estratto da D12 World, nel periodo in cui compivo 15 anni e sempre sul canale di cui sopra (che, ribadisco, credo fosse DeeJay TV ma non ne sono sicuro) partì questa canzone. Beat pesante, qualcosa che al tempo non mi era familiare, che per le mie conoscenze pari a zero definii in uno slancio d'entusiasmo "vecchia scuola" nel messaggio che mandai a un compagno di classe per segnalargli il video, non sapendo se fosse nuovo o vecchio, non sapendone nulla se non che mi ipnotizzò lasciandomi con il fervente desiderio di riascoltare il tutto in loop—la vita pre internet, amici miei, era difficile per i giovani appassionati di musica.
How Come parlava con toni più cupi dei problemi messi in evidenza con toni scherzosi in My Band. Non è mistero, oggi, come dopo Devil's night i D12 avessero avuto qualche scazzo, poi risolto ma parlarne non solo nel primo ma anche nel secondo singolo dà bene la misura del livello di tensione che c'era tra di loro. I D12 erano in origine Proof, Kuniva, Kon Artis, Bizarre, la meteora Eye-Kyu (quello che, per intenderci, trovate creditato come Drake nel primo disco di Eminem) e Bugz, poi dopo la sua morte entrò in sostituzione Swift e nello stesso periodo si aggiunse a loro Eminem; siamo a fine anni '90, quando il fenomeno Marshall Mathers era già qualcosa ma non era ancora quello che poi scoppiò proprio nel '99 con The Slim Shady LP e dal seguente Marshall Mathers LP l'anno successivo. L'esplosione causò qualche evidente scricchiolio anche perché la differenza di fama tra i sei era abbastanza netta in favore proprio di Eminem.
Se My Band era giocosa, How Come non lo è. È ruvida, e quello che pensavo essere un beat "vecchia scuola" è lo scenario per una resa dei conti tra Eminem, Kon Artis (che i più ad oggi conosceranno con il moniker Mr Porter) e Proof. Ecco: Proof è un personaggio importante in questa storia, anzi direi fondamentale. Proof ed Eminem erano amici già negli anni '90, e al funerale di Proof proprio Eminem gli rivolse parole dolcissime specificando che senza di lui non sarebbe esistito Eminem stesso. Al funerale ci arriviamo tra poco, giusto il tempo di dire che le parole di Eminem nella prima strofa e quelle di Proof nella terza sono praticamente un botta e risposta, un'amicizia lacerata ma non uccisa, che ad oggi rende ancora più doloroso il riascolto di quel brano perché due anni dopo, nel 2006, Proof fu ucciso in una sparatoria. Nella pagina Wiki dei D12 troverete due date di fine: una nel 2006, proprio dopo questo fatto, e una nel 2018, perché nel 2008 esce Return of the Dozen, con Proof in due brani ed Eminem che ne produce altrettanti ma non rappa. Dieci anni dopo, e qui finisce il nostro viaggio nel passato più remoto, capiremo meglio perché.
Qualche giorno fa parlavo su Twitter (thread qui) di Houdini e di come il prossimo disco di Eminem secondo me sarà l'ultimo (ma questo lo capiremo meglio la settimana prossima); la considerazione è nata perché questo pezzo ce l'ho in testa, come scrivevo prima, da diverse settimane durante le quali sono andato a riascoltare tanti passaggi dell'ultimo Eminem, quello che non fa un disco intero buono ma che comunque ha una capacità di wordplay che difficilmente vedi in giro, un flow unico e una capacità di tenere incollati a schermo o cuffie i fan storici paragonabile forse solo al miglior Springsteen. Nel percorso rifatto di recente, sono nuovamente incappato in Stepping Stone, e qui torniamo all'inizio di questa storia, che poi in fondo è anche la sua fine.
Kamikaze è stato pubblicato a sorpresa sul finire dell'estate del 2018, il 31 agosto, quando secondo Brunori c'è una storia che nasce e un'estate che muore—il disco, invece, ha causato la fine di due storie, perché la storia passata alle cronache è quella che segue la pubblicazione di Not Alike, la risposta dopo sei anni a un tweet di Machine Gun Kelly diretto alla allora minorenne Hailie (da cui "but you already know who the fuck you are, Kelly" con assonanza LEGGENDARIA di R Kelly), Rap Devil e Killshot, il dissing con cui Eminem ha costretto MGK a cambiare genere per poter continuare ad avere dei fan che non ridessero di lui. Ma questa storia la sapete, ne sono sicuro, e abbiamo girato fin troppo intorno all'altra, e allora arriviamoci.
Da qualche anno Eminem sta cercando di raccogliere i cocci malandati lasciati qua e là, perché con la maturità e il tempo trascorso magari qualcosa si aggiusta e un po' si chiede anche scusa magari, o si cerca di far pace. C'era stata Headlights per la madre, ce ne sono state due per Kim, l'ex moglie, con Stronger than I was prima e Bad husband poi (ma che beat pessimo porcogiuda), e anche la storia dei D12 meritava una conclusione. La seconda storia chiusa da Kamikaze è la loro, con un traccione da cinque minuti e tre strofe che delimitano tre periodi differenti.
La canzone si apre con un "Take me to the river" quasi a voler cercare un nuovo battesimo, liberandosi dai peccati precedenti. Posizione, innanzitutto: siamo nel 2002, Devil's night era uscito ed Eminem era famosissimo. Ma non bastava la fama a proteggersi da tutto ciò che c'era attorno, e non bastava il solo Eminem a piazzare i suoi qua e là, perché era il periodo di 8 Mile, delle dipendenze, degli scazzi forti con mezzo musicbiz; semplicemente troppo. La prima strofa si chiude, poi, con una frase netta e senza fronzoli: "the truth is the moment that Proof died, so did the group", da cui si riprende poi nella seconda con un "it was never the same" spiazzato più che spiazzante, perché un Eminem così aperto e insicuro è difficile da ritrovare.
I rapporti umani vanno perdendosi, la seconda strofa li analizza, forse parla anche di un feat non concesso a Bizarre in Rockstar, comunque prodotta da Eminem, che asserisce come non ne avesse bisogno per farcela. La posizione di Eminem è quella di un fuoriclasse che cerca di aiutare i compagni di squadra a diventare grandi, ed è difficile dargli torto visto che sono poche le persone ad avere un simile talento che provano a mettersi a disposizione per non vivere di luce riflessa ma anzi ritagliarsi un loro spazio. Eminem prosegue nel suo racconto pur senza certezze, ed è evidente dal suo crescente senso di colpa, che anche nel finale di strofa prende il sopravvento quando afferma di star lavando i suoi peccati finché la coscienza non sarà pulita.
E arriviamo così al finale, quella terza strofa in cui non c'è più solo passato ma c'è tanto presente e, sopratutto, non c'è futuro.
Si parte dall'analisi di sé in relazione a come è andata l'ultima parte di carriera
You can already sense the climate is startin' to shift
To these kids you no longer exist
Went from rainin' cats and dogs in this bitch
To tiny drops, little drips
per poi arrivare all'autoaccusa
And by the time your reign is over, you'll hardly be missed
You start thinkin' of all the artists you dissed
All the carnage you left, is this the kind of karma you get
For turnin' your fuckin' back on Bizzy, Kuniva, and Swift?
Non sono stati, ribadisce diverse volte nel brano, delle "stepping stone", dei punti di passaggio per arrivare ad altro, ma la morte di Proof ha cambiato tutto.
I've tried hearkening back to, but I'm fightin' for air
I'm barely chartin' myself
Feels like I'm on the descent, but it was not my intent
To treat y'all like a stepping stone
Il crescendo è amaro e violento nella sua ineluttabilità, perché le ultime tre barre sono la parola fine:
But the longer we spend livin' this lie that we live
The less is left for closure, so let's let this go
It's not goodbye to our friendship, but D12 is over
"livin' this lie that we live", ovvero qualche pubblicazione negli ultimi anni con il nome di D12 ma senza un disco ufficiale (e senza Eminem); "The less is left for closure", perché come capitato a Proof i soldati possono cadere anche senza una battaglia, e c'è bisogno di una chiusura; "D12 is over", cioè le tre parole con cui Eminem ha bruscamente, dolorosamente chiuso una parte della sua carriera.
Non è arrivato neanche l'eco, come del resto non sta arrivando molto per il prossimo disco. In questa provincia dell'impero, aspettiamo che qualcuno ci dica quando verranno a suonare gli AC/DC o che qualche artista amico degli amici che lavora perché la fidanzata c'ha gli agganci dirà qualche stronzata per avere risonanza. Nell'attesa, sono pronto alla morte di Slim Shady.